Non esistono società senza Arte


Appunti #1

 

«L’arte è come il cibo,

nessuno dice non me ne intendo

quando va al ristorante»

Francesco Bonami

 

Non esistono società senza Arte.

Prendo questo come assunto di partenza. Creare, inventare e in generale il fare artistico, sono nati da subito e spontaneamente. A testimoniarlo, i graffiti delle Grotte di Lascaoux, ma senza lasciare l’Italia le incisioni rupestri della Val Camonica (peraltro, nella lista dei patrimoni dell’UNESCO dal 1979).

Andando avanti e senza qui poter fare una disamina sull’importanza dell’arte nella storia del mondo, sappiamo che questa è servita soprattutto ad affermare il potere, che fosse papale o aristocratico e nobiliare. Uno dei periodi storici più rappresentativi in questo senso senz’altro la Controriforma (1545-1648), quando pale d’altare, cicli di affreschi e immagini stampate venivano utilizzate come strumento per educare i fedeli. L’arte costituiva un vero e proprio medium che andava a sopperire la mancanza di conoscenza della lingua latina della maggior parte, se non la totalità, dei fedeli – considerando unitamente l’alto livello di analfabetismo e che la messa era celebrata in latino (e lo è stata sino al 1969).

Mi piace associare l’idea di arte a quella di società, e quando ci penso mi viene in mente un importante fatto storico: la donazione di Sisto IV di alcune statue – che formeranno il primo nucleo dei Musei Capitolini di Roma – avvenuta nel 1471. Mi riferisco alla Lupa, simbolo di Roma, lo Spinario, il Camillo e la testa colossale di Costantino con il globo e la mano, opere bronzee oggi al Campidoglio e che erano custodite nelle sedi papali al Laterano. Il papa, nonostante tutto il suo potere e il suo ruolo, ad un certo punto non ritiene più corretto che tali opere fossero fruite solo da pochi eletti, e decide di “restituirle” al popolo romano, offrendole in questo modo alla collettività tutta. Vi è un’affermazione sottesa in tutto questo: l’arte è pubblica, appartiene indistintamente a ogni membro del popolo. Mi è sempre sembrato il primo passo per constatare che la produzione artistica sia necessaria per lo sviluppo della società, della collettività e della crescita personale – poiché dovrebbe poter spingere ad avviare riflessioni-, così come contribuisca al bien-être diffuso. Non a caso, la tutela e la promozione di arte e cultura sono oggi negli articoli della nostra Costituzione.

E se l’arte, dunque, veniva usata – e uso provocatoriamente questo vocabolo – per dare forma alle idee, al giorno d’oggi non accade niente di diverso. L’unico fattore che varia è la distanza rispetto al prodotto artistico: è molto più facile considerare arte ciò che è distante cronologicamente da noi, poiché abbiamo avuto modo e tempo, appunto, di capirlo e assorbirlo anche in relazione al suo contesto storico e ormai quindi inserito nel “pentolone” dei fatti storicizzati. E, di conseguenza, inevitabilmente accettati.

Tuttavia, sono consapevole che sia quantomeno uno sforzo comprendere che l’arte contemporanea si inserisca perfettamente nelle fila di quanto sia avvenuto sin ora. Soltanto, è più difficile da vedere. Per insistere in questa direzione mi piacerebbe creare un rimando per far fiorire i pensieri: c’è una corrente artistica molto apprezzata al giorno d’oggi, l’Impressionismo; ma esattamente come tale venne fortemente avversata poiché considerata degradata a tal punto da essere esposta nel Salon des Refusés – alternativa che raccoglieva gli artisti rifiutati dal più prestigioso Salon “ufficiale” -, così al giorno d’oggi ascoltiamo e assistiamo a considerevoli dispute e polemiche intorno all’arte prodotta nel nostro contemporaneo.

Inoltre, aggiungo una riflessione per supportare una ri-considerazione di questa produzione contemporanea. La Storia dell’Arte è una disciplina storica, ciò vuol dire che si basa su fatti documentati che lasciano una traccia su questa Terra. Mi piace usare questa espressione perché mi sembra di innescare un dialogo con Giacomo Leopardi quando scrive: «E fieramente mi si stringe il core, / A pensar come tutto al mondo passa, / E quasi orma non lascia» ne La sera del dì di festa (1825).

E bene, l’arte lascia orma!

E se allora l’arte è una disciplina storica in quanto ha il privilegio di documentare un periodo storico o anche solo dei momenti, andrebbe considerata con la dignità di uno strumento validissimo per approfondire l’epoca in cui viviamo. Gli animi artistici ritengo che siano dotati di una forte sensibilità e sono portata, alla luce di anni di riflessioni, a pensarli con un ruolo intrinseco di mediatori tra società e cittadini, sfondando quindi nella sfera politica. Le loro creazioni comunicano, attraverso qualsivoglia linguaggio, un effetto diretto o indiretto di un accadimento o semplicemente di un’atmosfera in cui siamo calati. Proprio perché vi siamo immersi, talvolta il nostro occhio, il nostro intelletto e altro che vi sia convolto, potrebbe non risponde di maniera lucida. Ed è qui che l’arte entra in gioco come strumento utile a decifrarla questa realtà confusionaria.

L’arte è figlia del tempo che l’ha prodotta, pertanto accoglie dentro di sé inevitabilmente riflessioni sulla storia, la filosofia, il pensiero dominante e quello che invece striscia silente, su quello rivoluzionario e quello che cerca di scostarsi dalle accademie o dalle ufficialità.

Rispetto al passato è certo che talvolta non sia ricercato un effetto di stupore per la padronanza della tecnica o della resa grafica o pittorica. Come sa chi è familiare a questi concetti, nell’arte contemporanea si passa dal dominio della tecnica a quello dell’idea e del concetto. E cosa c’è di più bello di scovare i meccanismi sottesi del pensare e del pensiero umano, resi attraverso la pratica artistica? Non che precedentemente non ci fosse una riflessione sulla più adeguata compositio da proporre, ma ad un certo punto – e siamo nel 1839 -, una scoperta scientifica cambierà per sempre il nostro rapporto con l’arte: l’invenzione della fotografia.

Perché persistere nella ricerca di una copia della realtà, se una macchina (dapprima il dagherrotipo) è tutta da sola in grado di riprodurmela perfettamente? Può sembrar scontato, ma credo che possa nascere una bellissima riflessione dalla constatazione che questa invenzione abbia dato il via per creare qualcosa di diverso e non abituale sino a quel momento: superare il dato reale. Andare quindi alla ricerca di ciò che non fosse ancora pensato o addirittura non ancora pensabile. Ribadisco, l’idea diventa più importante della forma, ed ecco che arrivano qualche tempo dopo Duchamp, Fontana, Pollock e molti altri, che con le loro proposizioni di cosa possa essere considerato arte da quel momento, hanno accelerato un processo oramai inarrestabile.

Non voglio determinare nulla in particolare con queste parole, ma forse rivolgermi a coloro che si mostrano più diffidenti verso questo mondo. Il mio intento è seminare riflessioni e regalare qualche suggestione per pensare all’arte contemporanea come uno strumento per comprendere la nostra realtà, un appello a donargli il giusto valore e dignità.

Flaminia Petrassi
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